il tema delle competenze è molto sentito dalle aziende: esse rappresentano, assieme alla tecnologia, la risorsa intangibile più importante e uno dei fattori più critici in fase di cambiamento

Il titolo potrà suonare simpatico, ma il tema delle competenze è molto sentito dalle aziende: esse rappresentano, assieme alla tecnologia, la risorsa intangibile più importante e uno dei fattori più critici in fase di cambiamento. Solo le competenze permettono ad un’azienda di utilizzare nel miglior modo possibile le risorse che sono a sua disposizione.  L’azienda del futuro dovrà essere interconnessa al proprio mercato e rete logistica, ma soprattutto dovrà portare il processo produttivo a livelli di automazione sempre più elevati. Questa nuova esigenza sta spingendo le aziende ad ampliare ed espandere le proprie competenze verso aree prima sconosciute: l’obiettivo è quello di adeguare il Know How alla richiesta tecnologica del mercato. Si tratta, spesso e quasi esclusivamente, di competenze tecniche: sviluppatori informatici, data analyst, ingegneri meccatronici e dell’automazione sono al momento le figure professionali più ricercate.   Esiste però, all’interno delle aziende, una carenza di competenze, a mio avviso ben più importante, e indipendente dal momento economico o dalle richieste di mercato, ovvero quella di competenze organizzative. Per competenze organizzative intendo competenze manageriali in senso stretto ovvero la capacità di gestire team di persone, possedere una visione chiara e una strategia di azione ma soprattutto la capacità di prendere decisioni sulla base di valutazioni oggettive e non reazioni istintive. Io sono una consulente aziendale, mi occupo di ottimizzazione dei processi produttivi tramite applicazione della metodologia Lean.  Quando ho deciso di iniziare a fare questo lavoro pensavo che Takt Time, Kanban e TPM sarebbero stati il mio pane quotidiano: e così è ma solamente in parte; se guardo infatti a questo lavoro da una prospettiva più alta mi accorgo che la mia attività ancora prima di agire sul processo produttivo stesso va ad agire sulle logiche che governano il processo decisionale,  perché quello  che si va ad introdurre non è solo uno strumento o una nuova tecnica, ma è un nuovo approccio alla gestione del problema/opportunità. Faccio un piccolo esempio: il proprietario di un’officina meccanica chiede consulenza perché vuole aumentare la produttività del reparto di lavorazioni meccaniche; dal suo punto di vista le soluzioni percorribili sono due o acquistare un nuovo centro di lavoro in modo tale da aumentare il numero di ore macchina disponibili oppure introdurre nuove risorse perché molte delle lavorazioni richiedono il presidio costante dell’operatore. Analizzando l’indicatore di efficienza si è rilevato che per buona parte del tempo il reparto era fermo a causa di un portafoglio ordini troppo basso. Sulla base dell’analisi svolta la decisione non è ricaduta sull’acquisto di un nuovo macchinario o l’introduzione di nuove risorse, ma sulla definizione di una strategia commerciale più aggressiva. È stata fatta innovazione introducendo un indicatore per la misurazione delle performance di reparto, ma soprattutto subordinando la decisione ad una fase di misurazione e analisi: più in generale introducendo un metodo adottabile a prescindere dalla tipologia di problema o dal campo di applicazione.

Alcuni lettori daranno per scontato il fatto che all’interno delle aziende siano sempre presenti competenze di questo tipo: in realtà molto spesso non è così. Queste sono competenze che diventano necessarie quando nell’azienda l’esigenza di “fare bene” eguaglia l’esigenza del “fare” indipendentemente che si tratti di un’opportunità o di un momento di crisi. Darwin insegna che l’evoluzione avviene sempre sotto la spinta di una necessità: diciamo che questo concetto è applicabile anche negli ecosistemi aziendali, per cui o si è in presenza di un imprenditore illuminato in grado di avere una visione a 360 gradi dell’azienda e che ne promuove il cambiamento dall’interno, oppure l’introduzione e lo sviluppo di queste competenze è sempre subordinato alla necessità di cambiamento che avviene dall’esterno. Come si inserisce la consulenza in questo contesto? Qualche tempo fa mi è stata raccontata questa barzelletta: “Un consulente va in un campo pieno di pecore e chiede al pastore: “Vuol vedere che indovino il numero delle sue pecore? E se lo indovino me ne dà una?” Il pastore risponde: “Ok!” Il consulente fa tutti i suoi calcoli e va dal pastore: “Le sue pecore sono 1653”. Il Pastore: “Bravo…ora può prendersi l’animale”. Il consulente va nel mucchio e sceglie. Prima di andar via il pastore dice al consulente: “Scusi, vuol vedere che indovino che lavoro fa?” e il consulente: “Ok! Ma non ce la farà”. Il pastore risponde: “Lei è un consulente!” E il consulente: “… e come ha fatto?” Il Pastore: “Primo: è venuto senza che io la chiamassi; Secondo: mi ha detto una cosa che sapevo già e terzo: tra tutte le pecore, si è preso il cane!”.

Spero abbia divertito ma cattiveria a parte (sono del mestiere quindi questa barzelletta tocca anche me!) vorrei soffermarmi su un punto in particolare “una cosa che già sapevo”: è vero molto spesso l’azienda che chiede aiuto alla consulenza aziendale conosce esattamente il problema (o l’opportunità da cogliere), ma non sa come risolverlo, o meglio ancora non possiede le giuste competenze per risolverlo. Ecco la consulenza interviene proprio su questa lacuna aiutando nell’adeguamento delle competenze aziendali ai nuovi standard, che siano essi imposti da spinte di cambiamento interne o esterne all’azienda.

Scritto da Sara Giulia Nespeca 


Iscriviti alla Newsletter per rimanere aggiornato sulle nostre pubblicazioni

Articoli correlati:

Hard skills e soft skills: quando è la persona a fare la differenza

People development come pilastro all’interno dell’innovazione

New Normal: dalle Risorse Umane al People Management